La disinformazione — soprattutto in materia di salute — si comporta come un virus: «si diffonde in fretta, cambia forma e può fare danni concreti ai cittadini, oltre che minare la fiducia nel sistema sanitario» (Fonte DottoreMaèVeroChe?).
Durante la pandemia, la Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha coniato il termine “infodemia” per descrivere l’esplosione di informazioni — alcune vere, molte no — che ha reso difficile distinguere la verità dalla menzogna.
Ma il “vaccino” contro questo fenomeno non è una puntura: è una competenza — l’alfabetizzazione sanitaria, o “health literacy”.
Che cosa significa alfabetizzazione sanitaria
In concreto, l’alfabetizzazione sanitaria significa saper trovare, capire e usare le informazioni sulla salute per fare scelte consapevoli: capire cosa ti dice il medico, interpretare un referto, capire come usare bene i farmaci, decidere se fare un esame o un controllo, e così via.
Con l’avvento di Internet e dei social, è diventato fondamentale saper navigare in modo critico anche online — sapere cioè cercare, valutare e discernere le informazioni sulla salute che circolano in rete, capire quali siano affidabili e quali no, senza lasciarsi ingannare da opinioni forti, cure miracolose o promesse facili.
Non si tratta solo di “avere tante informazioni”, ma di saperle interpretare bene.
La situazione in Italia
Secondo l’indagine europea HLS19 European Health Literacy Population Survey (coordinata dall’OMS Europa, con la partecipazione dell’Istituto Superiore di Sanità), in Italia circa 6 adulti su 10 hanno un livello di alfabetizzazione sanitaria “inadeguato o problematico”.
Questo peggiora rispetto alla media europea, sia in termini di persone in difficoltà sia in termini di persone con competenze “eccellenti”.
Cosa rischiamo con una bassa alfabetizzazione sanitaria
Non si tratta di un problema teorico.
Una scarsa capacità di capire le informazioni mediche si traduce in:
- difficoltà a comprendere prescrizioni, istruzioni per farmaci o esami;
- scarsa aderenza alle terapie (saltare dosi, interrompere i trattamenti, autogestirsi senza le giuste informazioni);
- peggior controllo di malattie croniche (come diabete, ipertensione) che richiedono monitoraggio e cura nel tempo. Questo, su scala collettiva, significa più accessi al pronto soccorso per problemi non urgenti, meno prevenzione, e in generale maggiore inefficienza e costi per il sistema sanitario.
Come “vaccinarci” contro la disinformazione
Secondo l’articolo, non esiste una “cura magica”. Serve un approccio combinato, una sorta di “vaccino sociale”:
- Scuola: introdurre percorsi educativi fin da giovani — insegnare a leggere notizie (non solo di salute) con spirito critico; aiutare a riconoscere fonti affidabili; educare a una navigazione consapevole su Internet e social. Esperienze come Informed Health Choices hanno già mostrato che è possibile.
- Sistema sanitario “accessibile”: formare operatori (medici, infermieri, personale amministrativo) affinché si esprimano in modo chiaro e comprensibile; creare materiali informativi semplici (moduli, depliant, web page) pensati per chi non ha competenze tecniche.
- Empowerment dei cittadini: ognuno può “allenare gli anticorpi cognitivi”, imparando a porsi domande critiche su ciò che legge: Chi parla? Su cosa si basa? È aggiornato? Vuole vendere qualcosa?. Strumenti di “navigazione consapevole” aiutano molto. L’obiettivo: non eliminare del tutto i “virus informativi” — questo non è realistico —, ma renderli riconoscibili, e ridurre la loro diffusione.