Nel 1975 l’Unione Europea muoveva i primi passi verso un mercato unico: tra le conquiste storiche, la libera circolazione dei professionisti sanitari segnò una svolta decisiva. Quella libertà – già sancita per merci, servizi e capitali – venne estesa ai cittadini dell’Unione che operavano in campo sanitario, grazie al reciproco riconoscimento dei titoli professionali. Un principio che permise a migliaia di medici, infermieri, odontoiatri e farmacisti di esercitare liberamente la loro professione in tutti gli Stati membri, abolendo i limiti nazionali.

Un ruolo fondamentale in questo percorso fu svolto da figure chiave come un medico vicentino, il dott Bruno Baruchello, che, insieme ad altri legali e sindacalisti, contribuì attivamente all’elaborazione delle direttive europee che aprirono la mobilità professionale nel settore sanitario.

Condividiamo l’articolo, scaricabile in allegato QUI, frutto dello studio degli archivi del dott. Baruchello, attraverso documenti ufficiali della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, per festeggiare il 50° anniversario della libera circolazione dei professionisti sanitari all’interno dell’Unione Europea.

LE DIRETTIVE

Lo strumento giuridico più importante fu la Direttiva 75/362/CEE, il cui scopo era il riconoscimento reciproco dei titoli di medico e odontoiatra. Successivamente, l’Europa adottò ulteriori misure – culminate nella Direttiva 2005/36/CE – che ampliarono l’area d’intervento e semplificarono le procedure di riconoscimento. Tale normativa, applicata anche in Italia con il DLgs. 206/2007, ha permesso un vero mercato unico delle professioni sanitarie, basato su criteri condivisi di formazione e competenza, garantendo sicurezza per i pazienti e apertura per i professionisti.

LA SVOLTA

La portata di quel cambiamento fu notevole: i medici laureati in uno Stato membro potevano esercitare in un altro semplicemente presentando il titolo. Bastava che fosse conforme agli standard europei e riconosciuto dalla commissione nazionale competente. Lo Stato ospitante poteva eventualmente chiedere un inquadramento specifico o un colloquio per garanzie amministrative, ma non poteva bloccare l’accesso arbitrariamente. Questo meccanismo offrì una straordinaria opportunità di crescita professionale e personale: molti giovani medici italiani si trasferirono all’estero o, al contrario, attrassero colleghi stranieri, scambiando esperienze e competenze.

Nel frattempo, la libertà di circolazione si integrava con le altre grandi conquiste europee: l’abolizione dei confini interni sancita dalla Convenzione di Schengen (1985, attuata nel 1995) e i principi del Trattato sul Funzionamento dell’UE (articoli 45, 51 e 56 TFUE) che garantivano la mobilità dei lavoratori e dei professionisti. In questo quadro, i sanitari non erano più soggetti a barriere burocratiche e legali, ma considerati cittadini europei a tutti gli effetti, liberi di lavorare dove desideravano.

A 50 anni di distanza, è importante riflettere sul valore di quella conquista: un percorso iniziato con direttive poco note al grande pubblico, ma ricco di ricadute concrete. Ha favorito la crescita della qualità formativa, lo scambio di buone pratiche, la mobilità intelligente delle competenze. È un’eredità che ha rafforzato il SSN italiano, che ha saputo integrare professionisti formatisi all’estero, e ha sostenuto il profilo europeo della sanità pubblica.